Sui 60 anni dai Trattati di Roma

Sabato 25 Marzo 2017: una Roma soleggiata, sgombera dalla jungla quotidiana e presidiata in ogni angolo dalle forze dell’ordine, è stata teatro di numerose e variopinte manifestazioni, sia statiche che moventi, pro e contro la ricorrenza dei 60 anni dalla firma degli omonimi “Trattati di Roma” che ha visto la partecipazione di molte figure di riferimento dell’ordine egemone europeo. Mia intenzione è condividere due riflessioni che sono emerse durante e dopo lo svolgimento della giornata di protesta.

  1. “Sovranità” diverso da “sovranismo”

Notiamo tutti come ultimamente il “sovranismo” stia andando molto di moda, e che venga cavalcato dai quei rinnegati personaggi della destra  interessati più che altro ai ritorni elettorali e non alla sostanza della “sovranità”, cioè la libertà politica di decisione autonoma entro i propri confini. Sappiamo con certezza che non saranno personaggi come quelli che oggi si dichiarano sovranisti che libereranno il nostro paese dall’invasore yankee. Questa è una certezza, ed è da questa prospettiva che dobbiamo giudicare questi ridicoli tentativi.

Consigliamo vivamente ai nostri attuali e futuri lettori di non cadere nelle facile illusioni “sovraniste” che da troppo poco tempo vengono sbandierate; in verità è l’ennesima classica strategia strappa-voti, tipica di quegli ambienti dediti alla raccolta certosina delle lenticchie elettorali ma nonostante ciò, estremamente funzionale al mantenimento della struttura egemone attuale.

Ora, il nostro compatriota con una coscienza politica matura deve saper riconoscere quei concetti utilizzati strumentalmente dai politicanti per annoverare voti in quelle listarelle fatte ad hoc; da tutto ciò bisogna diffidare. Il nostro lettore consapevole sa che per ora l’unica scelta funzionale si trova nel partecipare a quelle spontanee aggregazioni di popolo che si rifiutano categoricamente di votare.

  1. “Pratiche di Resistenza” diverse da “dissenso”

La seconda riflessione riguarda la prassi e il ruolo delle manifestazioni al giorno d’oggi.

Possiamo interpretare la giornata di “protesta” di sabato come uno sfogo concesso dal potere europeista all’antieuropeismo, una specie di vetrina occasionale concessa alle singole sfumature della pseudo opposizione nel nostro paese. In questo modo avviene una sorta di “normalizzazione” della protesta. Finché le manifestazioni contro il potere verranno decise dalle ricorrenze che lo stesso potere decide di celebrare, ogni tipo di “dissenso” risulterà sterile, anzi funzionale al mantenimento dell’ordine egemone esistente. Per paradosso, se la gerarchia europea avesse deciso di ignorare questa ricorrenza ne deduciamo che tutte queste innocue manifestazioni di dissenso non avrebbero avuto luogo.

Una “Pratica di Resistenza” da parte del popolo che si organizza è differente rispetto all’accettazione passiva del calendario liturgico che il potere sceglie di festeggiare per auto-celebrarsi. Fin quando il dissenso sarà stabilito dalle gerarchie UE in collaborazione con la Questura, ci troveremo di fronte all’illusione di dissentire, alla solita utopia democratica. Pensate sul serio che  farebbero manifestare se non fossero in grado di contenere sia fisicamente (Questura) sia politicamente (politici e media) il “dissenso”?

Inoltre fin quando sarà la Questura a delimitare il recinto della protesta le strade rimarranno deserte e il terrorismo dei media avrà fatto effetto sul cittadino comune che preferirà barricarsi a casa o andarsene direttamente al mare, quindi mancherà quell’ingrediente fondamentale affinché l’insurrezione si propaghi e si espanda empaticamente e spontaneamente tra la gente che si incontra per la strada. Il corteo di manifestanti, nelle condizioni attuali, sfila nel deserto cittadino e a sua insaputa viene criminalizzato dai media, attraverso gli innumerevoli inviati che circolano indisturbati e goffamente tra la folla, armati di caschetto, telecamere e microfoni intervistando persone improbabili e aspettando accoratamente l’inizio di qualche tafferuglio. Non si tratta naturalmente di buona informazione e ciò non fa altro che ingrassare lo share della macchina propagandistica.

Per finire, l’utilizzo dei camioncini con la musica alla testa del corteo rimanda più ad un modello di street parade piuttosto che ad una pratica di resistenza contro il potere. Questa spettacolarizzazione della protesta voluta dagli organizzatori può anche risultare piacevole al singolo manifestante ma non sono di certo delle misure idonee per rendere la protesta un’insurrezione.

F.L.

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