Politica e Ultras: amici ma non troppo

curva politicaIl fenomeno ultras nasce in Italia nell’immediato dopoguerra, quando nelle diverse città sparse per la penisola, numerosi gruppi formati da giovani tifosi iniziarono a radunarsi nei settori più popolari degli impianti sportivi, le curve, e a sostenere attivamente la squadra del cuore. Spesso e volentieri, nella stessa curva, venivano a formarsi gruppi diversi, in quanto alla fede sportiva comune si contrapponeva la fede politica opposta. Tuttavia ogni tifoseria già dagli inizi aveva al suo interno un orientamento politico maggioritario, se non, come in alcuni casi, univoco. Tale appartenenza ideologica non veniva di certo nascosta, ma, anzi, diveniva un elemento identificativo fortissimo, a volte anche più di quello meramente calcistico. E questo fenomeno è arrivato fino ai giorni nostri. Ecco perciò che accanto al sostegno alla squadra si registrano manifestazioni sempre più marcate di stampo politico, effettuate attraverso cori, striscioni o altre manifestazione estetiche. C’è da considerare infatti che la curva è sempre stata un posto di aggregazione giovanile, in cui i ragazzi esprimevano a modo loro le proprie idee su quanto accaduto nei propri quartieri e nelle proprie città.

L’identificabilità del gruppo ultras e il suo carattere fortemente gerarchico ha attirato, fin dagli anni cinquanta, i politici verso il mondo del tifo, spingendoli ad avvicinarsi a tale ambiente al fine di indirizzarlo elettoralmente alla vigilia degli appuntamenti elettorali o comunque laddove ce ne fosse stato bisogno.

GLI ULTRAS E LA PRIMA REPUBBLICA

Nei decenni della Prima Repubblica, lo stadio si affiancava alla sezione di partito e formava il concetto di militanza per il giovane. La forte ideologizzazione presente in quella fase storica fece in modo che spesso avvenissero scontri tra diverse tifoserie che non avevano nulla a che fare con la fede calcistica ma che riuscivano a trovare le loro ragioni nella diversa appartenenza politica. La domenica insomma non era altro che il culmine di una tensione latente che durante la settimana si accumulava. A ciò indubbiamente contribuivano sia la dinamica degli opposti estremismi, che puntualmente si riproponeva sugli spalti, sia (a destra) l’isolamento politico del Movimento Sociale italiano, che dava ai militanti dello stesso una sorta di sindrome di accerchiamento che sfociava in una difesa fisica del territorio, identificato col proprio stadio.

In questa fase inizia il rapporto diversificato del sistema nei confronti delle tifoserie. Infatti quelle appartenenti ad un’ideologia di sinistra vengono coccolate dal Partito Comunista Italiano, ben inserito in ambito parlamentare, e questo gli consente di limitare al massimo arresti e quant’altro in occasione degli scontri, appellandosi ostinatamente alla retorica antifascista. Le tifoserie di “destra” invece non hanno questi appoggi, proprio perché il Movimento Sociale Italiano si pone fuori dall’arco costituzionale o comunque in una posizione marginale dello stesso, e subiscono di conseguenza una repressione assai violenta. Non solo, spesso i giovani neofascisti vengono guardati con sospetto anche dagli stessi vertici missini, che vedevano nelle loro azioni violente un ostacolo verso lo sdoganamento partitocratico e quindi, invece di proteggere il proprio patrimonio giovanile, spesso e volentieri preferiscono accodarsi alle critiche del sistema, nel quale cercano di farsi largo.

Assistiamo in quegli anni a propagande elettorali dentro la curva stessa, che spesso sostiene un singolo candidato del partito di riferimento, indirizzando quindi migliaia di preferenze sullo stesso. Sempre in questo periodo si vedono bandiere di partito accanto a quelle della squadra che si tifa quasi in ogni partita, e la situazione di ordine pubblico spesso e volentieri precipita. Per spiegare meglio quanto l’elemento calcistico negli anni settanta e ottanta abbia perso importanza diciamo che spesso tifosi di diverse squadre si uniscono e vanno allo stadio insieme per scontrarsi contro una tifoseria rivale. Nascono cosi i gemellaggi, ovvero rapporti di amicizia tra ultras basati sull’avere il medesimo orientamento politico. Si registra spesso inoltre la presenza fisica del politico allo stadio in prossimità dell’evento elettorale nella parte più calda della curva, per attirarsi le simpatie dei giovani elettori. Questa fase storica si chiude (a destra e di conseguenza come reazione anche nella parte avversa) con il sostegno esplicito della tifoseria laziale a Gianfranco Fini, allora ancora segretario del Movimento Sociale Italiano, in occasione delle elezioni comunali di Roma, in cui contendeva la carica di primo cittadino a Francesco Rutelli. La capitale infatti è stata sempre la città simbolo di questo rapporto osmotico tra ultras e politica, e continua, seppur in modo diverso, ad esserlo.

LA SECONDA REPUBBLICA, I PRIMI PROBLEMI

Con la Seconda Repubblica e l’ingresso in scena di Silvio Berlusconi cambia il modo di fare politica nel nostro paese. I partiti cominciano a ripensare se stessi in senso verticale e improntati sulla figura del capo. Man mano chiudono le sezioni, e alla militanza fatta di volantinaggio e cortei si sostituiscono le campagne elettorali televisive. Ecco che quindi la curva non diventa più, come accadeva in precedenza, l’epilogo di una settimana militante, ma diventa l’unico posto di aggregazione giovanile. Questo sortisce effetti molto negativi. Aumentano vertiginosamente gli episodi di disordine pubblico, in quanto spesso lo stadio diviene una sorta di sfogatoio derivato da tutti i problemi e le frustrazioni politiche e sociali di cui prima magari si discuteva in sezione. Il carattere mediatico crescente del calcio, realizzatosi attraverso la nascita delle tv a pagamento, ha posto sotto gli occhi di tutti i cittadini il problema della violenza, e ha messo lo Stato nelle condizioni di rispondere attraverso misure restrittive. Si è cominciato con i tornelli all’ingresso dell’impianto e con perquisizioni sempre più accurate. Tutto ciò ha sollevato le proteste degli ultras, indirizzate a quel mondo politico che spesso e volentieri si era avvalso del loro aiuto. In considerazione di ciò era sempre più difficile per un politico andare a chiedere ai capi dei diversi gruppi di indirizzare migliaia di voti verso chi, di fatto, li reprimeva. Il ridimensionamento della componente comunista in parlamento poneva anche le tifoserie di sinistra in una condizione di minor protezione dinnanzi a tutto ciò rispetto a quando potevano contare sul tacito appoggio del secondo partito politico per numero di parlamentari eletti. In sintesi il legame tra tifo e politica non si spegne, ma si raffredda notevolmente, anche se non mancano casi di appoggio esplicito a candidature elettorali.

I GIORNI NOSTRI: LA CURVA COME LOBBY

Con l’avvento del bipartitismo, a cui fa da contraltare un movimento anti ideologico come quello grillino, le curve e gli ultras, pur rimanendo dei propri orientamenti politici, iniziano a non appoggiare più candidati in considerazione del loro partito di appartenenza, in quanto si sentono tradite dalla politica repressiva attuata dallo stato nei loro confronti (uso smisurato del provvedimento Daspo). Ecco che perciò in molti casi i capi dei gruppi iniziano a porsi sul mercato elettorale, in attesa di un politico che si impegni ad agire contro tale modello repressivo. La politica perciò abilmente dal proprio punto di vista non vede più la curva come un bacino di utenza ideologico, ma vede chi va in curva come una categoria di cittadini a cui creare delle difficoltà per poi impegnarsi, a parole, a risolverle, la stessa dinamica che si verifica in qualsiasi altro ambito della società. Le difficoltà che il sistema pone al tifoso aumentano, oggi infatti chi sbaglia riceve il Daspo, ovvero il divieto di accesso agli impianti sportivi per anni. Non solo, al fine di un maggior controllo allo stadio Olimpico di Roma le curve sono state ulteriormente settorializzate attraverso la costruzione di barriere, che impediscono lo svilupparsi di quell’elemento aggregativo proprio del settore più caldo dello stadio.

Ma come si è detto in precedenza, i problemi vengono creati in maniera artificiosa per poi avere un motivo per porsi come interlocutori in un rapporto di scambio reciproco. Accade quindi che ora in alcuni programmi elettorali del candidati a sindaco del Comune di Roma, come per il candidato Iorio, compaia come punto quello di adoperarsi per rimuovere le barriere dalle curve romane, con la speranza di accaparrarsi migliaia di voti trasversali di romanisti e laziali.

In generale bisogna dire che l’esplicitazione della propria simpatia calcistica sta diventando di moda tra i politici, specialmente quando questi ultimi tifano per la squadra avente il maggior numero di tifosi. Il fatto che il tifo possa indirizzare il voto di un cittadino è sicuramente un qualcosa che fa riflettere e rende tristi i veri tifosi, ma è ormai un dato di fatto, e i politici ne approfittano in maniera palese.

PER UN TIFO ANTISISTEMA

La speranza è che gli ultras e i tifosi di curva, si rendano conto di essere stati in questi decenni utilizzati e manipolati a fini elettorali. E che, pur rimanendo delle proprie ideologie, recedano questo legame ambiguo che rischia solo di inquinare la reputazione del mondo del tifo, e di sporcare uno dei pochi elementi di aggregazione che ancora esistono in questo Stato, che preferirebbe STADI SALOTTO all’americana dove lo spettacolo viene goduto come al Cinematografo insieme a chilogrammi di popcorn e a bevande per obesi.

La repressione nasce proprio da questo, dal voler eliminare, come è stato fatto per la militanza politica, anche quella sportiva, e non dare modo ai giovani di approcciare in modo comunitario al sociale. Il modo per contrastare tutto ciò non è certo appoggiare il politico di turno che promette le briciole e poi non mantiene nemmeno, ne tantomeno contrastare i provvedimenti e poi votare chi li ha ideati, in maniera del tutto incoerente.

Occorre che il patrimonio giovanile convogliato nelle curve venga messo a diposizione di progetti realmente alternativi, sicuramente legali ma con una forte componente sociale.

Questo è l’unico modo per favorire quel cambiamento radicale di cui tanti parlano ma che alla prova dei fatti tutti barattano per una manciata di puerili voti.

D.P.

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